Te voglio bene assaje

Te voglio bene assaje è la canzone napoletana più celebre tra quelle pubblicate ad inizio Ottocento. E anche la prima a portare la firma dell’autore dei versi, quella di Raffaele Sacco. Di indiscutibile bellezza, ebbe un clamoroso successo di pubblico, sancito dalle oltre 180.000 copielle vendute. Stando a Salvatore di GIacomo, nacque nel mese di aprile durante una delle periodiche, le tipiche feste casalinghe dell’epoca, che si tenevano in casa Sacco. In che anno? Nel 1835 secondo alcuni (tra cui di GIacomo), nel 1839 secondo altri. . Sulla sua data di nascita, infatti, si contrappongono due diverse tesi.

TE VOGLIO BENE ASSAJE, LA CANZONE DELLE CONTROVERSIE STORICHE

Nella monumentale Enciclopedia della canzone napoletana di Ettore De Mura è presente una versione di ben 19 strofe, intitolata Canzona. e indicata come prima edizione. L’anno a cui si fa riferimento è, appunto, il 1839, quello che avrebbe visto Te voglio bene assaje tra i brani più cantati durante la festa di Piedigrotta. Tra i sostenitori di questa tesi c’è anche Pietro Gargano, che porta a sostegno dell’ipotesi una prova che rimanda a Luigi Settembrini, in carcere a Napoli dal maggio 1839 al gennaio 1841.  Il patriota ebbe modo di sentirla dalla voce della figlia del suo carceriere e la definì la “canzone dell’anno”, precisando che l’anno in questione era quello della costruzione della ferrovia Napoli-Portici e dell’ inaugurazione del sistema di illuminazione a gas di piazza Trieste e Trento e del tratto iniziale di via Toledo.

Sempre Gargano, e sempre per smentire l’ipotesi 1835, cita poi la pubblicazione della parodia, una delle tante, scritta dal barone Michele Zezza e intitolata A la canzone nova. Nel testo sono presenti i versi “Da cinche mise, cànchero, / Matina, iuorno e ssera / Fanno sta tiritera/ Tutte li maramè/ Che siente addò tè vuote? / Che siente addò tu vaie?/ Te voglio bene assaje, / E ttu nun pienze a mme!”.  Considerando che la parodia apparve nella raccolta La Nferta pe lo Capodanno 1841 e che questo tipo di album ricapitolava i fatti salienti dell’anno precedente, Te voglio bene assaje potrebbe risalire addirittura al 1840. In ogni caso, il riferimento ai cinque mesi di ascolto martellante non ricondurebbe al 1835 ma al 1841, l’anno di pubblicazione della Nferta.

Secondo un’altra ipotesi, invece, l’origine del brano, almeno dal punto di vista testuale, va retrodatata di quattro anni. Di questa opinione è il musicologo Pasquale Scialò, che la specifica nel primo volume della sua Storia della canzone napoletana. Il riferimento è alla pubblicazione di una poesia, dello stesso Raffaele Sacco, nella raccolta Cetra Partenopea, data alle stampe nel 1835.
In effetti, i versi sono pressoché coincidenti con quelli passati poi alla storia. La prima strofa ne è esempio rivelatore: “Comme songh ‘io lo fauzo? /Appila cammarà; /lo saccio ‘n veretà/ca l’aria toja chest’è./ Uh, jastemmà vorrìa/lo juorno che t’amaje; te voglio bene assaje, ma tu non pienze a me.”

L’ATTRIBUZIONE A DONIZETTI

Se il testo di Te voglio bene assaje ha una paternità certa, lo stesso non si può dire della sua melodia. Molti la attribuiscono a Gaetano Donizetti, ma mancano prove documentali, ad esempio uno spartito autografo, a suffragare la teoria. Rimane solo una suggestione, alla base di una curiosità: la traduzione in bergamasco della canzone. La realizzò nel 1997 il poeta Umberto Zanetti con il titolo Te öle tat bè.  Altri due nomi indicati come possibili autori della musica sono quelli di Filippo Campanella e di Giuseppe Torrenti (o Torrente).

Non ci sono dubbi storici sulla popolarità che il brano raggiunse dopo la Piedigrotta 1839. E non solo per le copielle vendute nei mesi seguenti. Il successo di Te voglio bene assaje è certificato dalle numerose versioni stampate dal 1840 al 1877, la prima dall’editore B. Girard & C.
Tra le tante interpretazioni, molto raffinata quella di Milva e quella a due voci di Angelo Branduardi ed Eugenio Finardi.

TESTO DI TE VOGLIO BENE ASSAJE

‘Nzomma songh’io lo fauzo?
Appila, sì majesta,
ca ll’arta toja è chesta!
Lo dico ‘mmeretà:
io jastemmà vorria
lo juorno che t’amaje!

Io te voglio bbene assaje
e tu nun pienze a me.

Pecché quanno me vide
te ‘ngrife comm’a gatto?
Nennè, che t’aggio fatto
ca no mme può vedè?
Io t’aggio amato tanto,
si t’amo tu lo saje.

Io te voglio bbene assaje
e tu nun pienze a me.

La notte tutte dormeno,
ma io che bbuò durmì!
Penzanno â nenna mia,
mme sento ascevolì.
Li quarte d’ora sonano
a uno, a ddoje, a tre.

Io te voglio bbene assaje
e tu nun pienze a me.

Recordate lo juorno
ca stive a me becino
E te scorreano ‘nzino
le llacreme accossì!
Deciste a me: “Nun chiagnere,
ca tu lo mio sarraje!”

Io te voglio bbene assaje
e tu nun pienze a me.

Guardame ‘nfaccia e vide
comme song’arredutto:
sicco, peliento e brutto,
nennella mia, pe’ tte!
Cusuto a filo duppio
co tte me vedarraje.

Io te voglio bbene assaje
e tu nun pienze a me.

Saccio ca nun vuò scennere
la grada quanno è scuro.
Vattenne muro muro,
appojate ‘ncuoll’a me!
Tu, ‘n’ommo comm’a chisto,
addò lo trovarraje?

Io te voglio bbene assaie
e tu nun pienze a me.

Quanno sò fatto cennere,
tanno me chiagnarraje.
Sempe addimannarraje:
“Nennillo mio addò è?”
La fossa mia tu arape
e llà me trovarraje.

Io te voglio bbene assaie
e tu nun pienze a me.

LE IMMAGINI DI TE VOGLIO BENE ASSAJE

Te voglio bene assaje
Lo spartito di Te voglio bene assaje

 

Gaetano Donizetti
Gaetano Donizetti

 

Michele Zezza
Michele Zezza
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