Domenico Rea

Domenico Rea e la canzone napoletana

Perché la canzone classica napoletana ha avuto tanto successo?” è una domanda che si pose anche Domenica Rea. Agli inizi degli anni ’60 lo scrittore si interrogò sulle ragioni della straordinaria diffusione, nel tempo e nello spazio, di una forma espressiva così caratterizzata in termini linguistici e territoriali. I suoi ragionamenti si tradussero in uno scritto, pubblicato nel libro “Napoli parole e musica”, che vale la pena rileggere nei suoi passaggi chiave.

DOMENICO REA E IL SUCCESSO DELLA CANZONE NAPOLETANA

Rea mosse da questa affermazione: “La canzone napoletana è un canto frutto di un esasperato spirito individualistico e si deve forse a questo carattere il suo valore universale.
La pentita è sola col suo dolore; il guappo è solo con la sua disperazione; l’amante è solo col suo tradimento; il pescatore è solo di fronte al mare e alle costellazioni favorevoli o sinistre. È raro trovare un canto napoletano in terza persona plurale o con tempi impersonali.”

Lo scrittore, a questo punto, indicò un motivo che spiegava come mai milioni di persone, delle civiltà e razze più disparate, si fossero ritrovate nelle storie e nelle melodie napoletane. La sua idea era precisa: “Secondo me, l’individualismo napoletano è al limite di ogni calcolo, ipocrisia, finzione, insincerità. Se, cioè, l’uomo potesse liberare sé stesso dalle forme, i modi e le maniere delle convenienze si troverebbe ad essere, così denudato, un napoletano, un uomo aperto a tutta quella serie d’emozioni spontanee per le quali solo dovrebbe valere la pena di vivere.
Per questo motivo si è poi avuto che un canto così personale è divenuto patrimonio comune e intelligibile alla grande maggioranza degli uomini, in ogni Paese”.

L’ UNIVERSALITÀ DEI TEMI

Nello scritto, poi, Domenico Rea fece una disanima degli argomenti al centro delle canzoni napoletane, sottolineando la facile accessibilità di temi come l’amore, la passione, la disperazione, il tradimento, la natura, il destino, la fatalità. “Temi universali” sottolineò “e allo stesso tempo estremamente caratterizzati, tipicizzati e collocati nel mondo aperto che è sempre stato Napoli; un mondo ospitale, a entrata continua, indifferente (e quasi insensibile) ai problemi religiosi, razziali, eccetera.”

A proposito dei protagonisti, aggiunse che si trattava di figure altrettanto riconoscibili, evidenziando che “L’amore è il centro di ogni azione della canzone napoletana; l’amore inteso sempre in modo sentimentale e romantico e in cui sembra essere assente e ignoto ogni altro impulso come quello erotico ad esempio”

LA CANZONE NAPOLETANA OLTRE L’AMORE

Domenico Rea, però, precisò che era un errore limitare la canzone napoletana all’amore, sebbene ne fosse il capitolo più vistoso, noto e comprensibile. Erano messe in musica anche altre storie, tutte ricavate dalla realtà. Storie di guappi; storie di pescatori, storie di soldati in partenza per le guerre, storie di emigranti. Insomma, storie di vita vissuta che trovano sempre un poeta pronte a cantarle, come E. A. Mario in Santa Lucia luntana.

LE RAGIONI DEL DECLINO SECONDO DOMENICO REA

Dopo aver ragionato delle ragioni del successo, Rea si soffermò su quelle che potevano essere le ragioni del declino. La sua opinione era che la Seconda guerra mondiale aveva distrutto luoghi e cose, seppellendo gli antichi eroi popolari con i loro miti, riti, abitudini, modi. Era cominciato un diverso destino anche per Napoli, che aveva perso la sua identità peculiare per poter partecipare alla vita nazionale. Il dialetto stesso aveva perso incidenza, a causa della sempre maggiore diffusione dell’italiano. In altre parole, Napoli “non poteva più contare sulla sua singolare società e doveva cedere parti ingenti del suo individualismo per cui, di colpo, quanto era stato suo, unico, originale, si trasformava in pittoresco.”

Questa la conclusione del suo ragionamento: “La canzonetta napoletana era stata un canto dell’uomo al cospetto della natura, fosse lamento o esaltazione il suo motivo era interiore, personale e lo scontro con il suo contrario, la canzonetta derivata dal jazz, in cui il ritmo di ballabile ha un valore dominante sulla parola, la trama, la storia, la pienezza del sentimento, doveva riuscire fatale alla tradizione napoletana.
Con i poeti infine erano scomparse e si erano ritirate dalla scena della vita le generazioni anziane e adulte. Per i giovani ci volevano nuovi poeti, nuove canzoni, le interpretazioni dei loro nuovi fatti e, qui è il punto, i loro fatti nuovi erano comuni a quelli dei giovani di tutta Italia”.

Domenico Rea
Domenico Rea, foto di Leonardo Cendamo via Getty Images
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