Marechiare
Marechiare è unanimemente considerata uno dei capisaldi della canzone classica napoletana. Il testo firmato da Salvatore di Giacomo apparve la prima volta il 1° giugno 1884 sul giornale Napoli con il titolo Varchettiata. L’anno dopo prese la forma di un’elegante serenata a mare grazie a Francesco Paolo Tosti: da quel momento la sua diffusione non ha conosciuto soste. Come ‘O sole mio, Torna a Surriento, Funiculi, funiculà, è una delle poche canzoni che continua a trovare nuovi interpreti a livello mondiale, specie in ambito lirico.
È opinione comune che questo successo planetario sia dovuto soprattutto al genio di Francesco Paolo Tosti. Al musicista abruzzese è riconosciuto il merito di aver creato una raffinata melodia secondo i canoni della romanza da camera.
Su Salvatore di Giacomo, invece, il giudizio della critica è meno uniforme. I versi con cui descrive i pesci che fanno l’amore quando spunta la luna, la finestra con un vaso di garofani e Carolina che non si sveglia hanno suscitato valutazioni contrapposte. Secondo alcuni, danno vita ad un testo poco ispirato, con immagini scontate, se non addirittura melense. Di altro parere è il musicologo Pasquale Scialò, secondo cui il testo fornisce al “compositore non solo una poesia colma di musicalità, ma anche una scena teatrale traboccante di immagini sonore.”
Di sicuro c’è che di Giacomo non amò Marechiare. Al suo amico Alfredo Schettini confidò: “È la più brutta delle mie canzoni, usurpa una fama che spetta interamente a Tosti per la sua bella musica.”
LE RADICI POPOLARI DEL TESTO
A proposito dei versi di Marechiare, è interessante rilevare la presenza di tracce di canti popolari. Come nel caso di ‘E spingole frangese e di altre sue canzoni, Salvatore di Giacomo sviluppò il testo traendo spunti dal patrimonio folclorico, all’epoca oggetto di numerose ricerche. Il famoso incipit:
Quanno sponta la luna a Marechiare
pure li pisce nce fanno l’ammore
richiama l’inizio di un canto napoletano intitolato Aria di cantina:
S’è aperta na cantina mmiezo mare
E ghiuto di rimpietto a Morveglino
Li pisce là se vanno a decreare
Anche nella strofa finale ci sono echi popolari. L’invito a svegliarsi rivolto a Carolina, l’aria dolce e l’immagine della chitarra rimandano a due canti della tradizione pugliese. In uno compare il verso:
Scetate, bella mia, lu tempu è quetu
mentre in un altro i versi di riferimento sono:
Alzati, Ninna mia, te ‘nfaccia e sienti
sutta la toa fenesta stau prisenti
La chitarra sse ferma
Si tratta di rielaborazioni che testimoniano quanto di Giacomo conoscesse il repertorio di canti popolari e regionali, in quegli anni oggetto di numerosi studi e ricerche.
DI GIACOMO A MARECHIARO
Alla nascita di Marechiare sono legate diverse leggende, che interessano tanto il testo quanto la parte musicale.
Una delle più ricorrenti è quella secondo cui Salvatore di Giacomo scrisse i versi della canzone senza essersi mai recato a Marechiaro. A diffondere questa tesi fu, in realtà, proprio di Giacomo nel libro “Napoli: figure e paesi” pubblicato nel 1909. In un capitolo del volume racconta la sua prima trasferta a Marechiaro, con tanto di pranzo in una trattoria con finestrella dove serviva una giovane di nome Carolina, ambientandola in un periodo successivo alla pubblicazione della canzone.
In realtà, di Giacomo frequentava quella trattoria già prima che Marechiare vedesse la luce. Questo almeno emerge dai ricordi di Nannina Cotugno e Peppe Manetti, entrambi nipoti del proprietario Carmine Cotugno. I due discendenti dell’oste concordano nel ritenere che il poeta scrisse i versi ispirato da Carolina Attanasio, che lavorava nel locale e che divenne moglie di Carmine il 25 luglio 1880.
Con il racconto presente in “Napoli: figure e paesi”, Salvatore di Giacomo avrebbe, dunque, confuso volutamente le idee, forse per divertimento. Un po’ come aveva fatto pochi anni prima, nel 1901, facendo stampare una falsa copiella seicentesca di Michelemmà per attribuirne il testo a Salvator Rosa.
TOSTI E LE LEGGENDE DI MARECHIARE
Le leggende che ruotano intorno a Marechiare coinvolgono anche Francesco Paolo Tosti. Una vuole che il compositore abruzzese compose l’introduzione della canzone mutuandola da un posteggiatore, don Ciccio di Giorgio.
Stando a quanto scrive Giovanni Artieri nel libro “Napoli, punto e basta?”, una sera Tosti lo ascoltò al caffè dei Mannesi, rimanendo così colpito da uno dei temi che eseguiva da annotarselo sul polsino inamidato della camicia, per poi riprenderlo nella stesura del brano.
Ad Ettore De Mura si deve, invece, un aneddoto di ordine economico: citando Francesco Schlitzer, nella sua “Enciclopedia della canzone napoletana” afferma che Salvatore di Giacomo concesse a Tosti il permesso di musicare il testo dietro il pagamento di una sterlina d’oro. È lecito supporre che la richiesta non derivò dall’avidità del poeta, quanto dalla ritrosia a declinare in canzone i suoi versi.
GLI INTERPRETI
Marechiare vanta centinaia di interpreti fra cui Enrico Caruso, i Tre Tenori, Andrea Bocelli, Katia Ricciarelli, Lina Sastri, Eduardo De Crescenzo. Una menzione speciale va fatta per la versione di Giuni Russo. presente nel suo ultimo album “Napoli che canta” e inserita nella colonna sonora dell’omonimo film muto restaurato nel 2004.
TESTO DI MARECHIARE
Quanno sponta la luna a Marechiare
pure li pisce nce fanno a ll’ammore;
se revoteno ll’onne de lu mare,
per la priezza cagneno culore,
quanno sponta la luna a Marechiare.
A Marechiare ce sta na fenesta,
la passione mia ce tuzzelea,
nu carofano addora ‘nt’a na testa,
passa ll’acqua pe sotto e murmulea…
A Marechiare ce sta na fenesta.
Chi dice ca li stelle so’ lucente
non sape st’uocchie ca tu tiene nfronte,
sti ddoie stelle li ssaccio io sulamente:
dint’a lu core ne tengo li ppònte…
Chi dice ca li stelle so’ lucente?
Scétete, Carulì, ca ll’aria è doce,
quanno maie tanto tiempo aggio aspettato?
P’accumpagnà li suone cu la voce,
stasera na chitarra aggio purtata…
Scétete, Carulì, ca ll’aria è doce!…

