Dici Peppino Gagliardi e il pensiero va subito a brani come Settembre, T’amo e t’amerò, Come le viole. Insomma, una serie di evergreen che lo potrebbero far considerare un interprete essenzialmente italiano. Un po’ come Edoardo Bennato, per capirci. Ripercorrere la sua carriera, però, porta ad un’altra conclusione. Peppino è anche, se non soprattutto, uno straordinario interprete di canzoni napoletane. Che meritano di essere riscoperte
PEPPINO GAGLIARDI, ARTISTA PER UN REGALO INDESIDERATO
La passione per la musica di Peppino Gagliardi nasce per un giocattolo non desiderato: una fisarmonica. Gli fu regalata ad undici anni dal padre, che non aveva trovato il fucile a pallini richiesto. Il malcontento per lo strumento non voluto divenne, però, amore per la musica. Una vera passione alimentata dagli studi, ma anche da disavventure economiche. Peppino Gagliardi passò repentinamente dalle aule del Conservatorio ai palchi dei locali notturni.
Il 1958 fu l’anno della svolta. Il motivo che lo indusse a fare della musica un lavoro fu un rovescio finanziario patito dal padre. Non c’erano più soldi per i suoi studi. Nacquero così I Gagliardi, una band messa in piedi con i fratelli per guadagnarsi da vivere. All’inizio degli anni Sessanta, Peppino si ritrovò a cantare e suonare il piano per 1.500 lire a sera. Fu l’inizio di una inesorabile “scalata” che, presto, lo portò ad incidere i primi dischi.
LE CANZONI NAPOLETANE DI PEPPINO GAGLIARDI
Il repertorio di canzoni napoletane di Peppino Gagliardi è tanto vasto quanto poco noto al grande pubblico. I primi titoli da segnalare sono ‘A voce ‘e mamma, Quanno vuò tu e ‘A canzone ‘e Napule. Si tratta di canzoni incise tra il 1962 e il 1963 su 45 giri ormai introvabili. Due inediti e un classico, tre brani in cui è facile rintracciare le atmosfere musicali in voga all’epoca.
Il canzoniere partenopeo di Peppino Gagliardi si arricchisce notevolmente con le partecipazioni ai Festival di Napoli. Sono figlie di queste esperienze canzoni come Maje, Nisciuno ‘o ppo’ capì e Mparame a vule’ bene. Nel 1966 vi partecipa con Scriveme, di Roberto Murolo, e Sole malato, di Riccardo Pazzaglia e Domenico Modugno. Nel 1968 è la volta di Sott’ ‘e stelle, firmata da lui stesso e di nuovo da Murolo e Gagliardi. Dello stesso anno e festival, ma non presentata da lui, anche Dimme ca tuorne ‘a mme. Nel 1969, invece, interpreta ‘O scugnizzo, Ciento notte e N’angiulillo. Canzoni che ne evidenziano la versatilità tecnica, al pari di una capacità espressiva originale e ricca di venature soul
IL DISCO DELL’ORGOGLIO NAPOLETANO
A proposito delle canzoni napoletane di Peppino Gagliardi, c’è un album che merita di essere ascoltato e riascoltato. È dedicato al figlio Massimiliano e si intitola Quanno figlieto chiagne e vo’ cantà, cerca int’ ‘a sacca e… dalle ‘a libertà. Il disco uscì nel 1974 cioè nel momento di massimo successo come interprete di canzoni italiane. Proprio allora Peppino Gagliardi decise di rivendicare con orgoglio le sue radici napoletane.
La scelta fu quella di musicare versi di alcuni dei massimi poeti napoletani. Alcuni nomi? Salvatore di Giacomo, Eduardo Nicolardi, E.A. Mario, Ernesto Murolo. Il risultato? Nove canzoni che, a distanza di 45 anni, continuano ad essere straordinariamente moderne. Addò vaie? …Chi sape niente ne è un esempio come, d’altronde, Sera napulitana e N’aucelluzzo.
Va detto, però, che Palomma d’oro è il brano che meglio degli altri rende il raffinato senso dell’operazione.
Altro disco, ormai introvabile, degli anni ’70 è Avrei voluto scriverle io. In questo album ci sono quattro classici che meritano di essere ascoltati: Canzona appassiunata, Santa Lucia luntana, Core furastiero e Napule è ‘ na canzone
IO STO CCÀ, L’ULTIMO ALBUM IN NAPOLETANO
Io sto ccà è il titolo dell’ultimo album di canzoni napoletane pubblicato da Peppino Gagliardi. Uscì nel 1984 e contiene dieci canzoni, tutte con versi di Salvatore Tolino. Il disco non ottenne un grande riscontro, probabilmente perché lo stesso Gagliardi non lo sentì “suo” fino in fondo. Da segnalare, in compenso, una curiosità: la presenza di un giovane Peppe Vessicchio, nelle vesti di arrangiatore e direttore d’orchestra.