Del rapporto tra Paolo Villaggio e la canzone napoletana si sa poco, probabilmente perché non ci fu alcun rapporto. Del (turbolento) rapporto con Napoli, invece, è perfetta testimonianza “Io speriamo che me la cavo”, dove interpreta il maestro Sperelli. Ed è proprio nei panni del maestro Sperelli che Villaggio, invece, ha modo di conoscere la musica campana. Molto prima di Enzo Avitabile e poco dopo Roberto De Simone, la sua strada incrocia quella dei Bottari di Portico.
PAOLO VILLAGGIO E I BOTTARI DI PORTICO ALLA REGGIA DI CASERTA
Artefice dell’incontro è Lina Wertmuller, che i Bottari li conosceva bene avendoli coinvolti in uno spot per i Mondiali del ’90. E così, nella seconda parte del film, Villaggio/Sperelli si ritrova affascinato dal ritmo ipnotico di botti, tini e falci. La scena è ambientata nei giardini della Reggia di Caserta, luogo scelto dal maestro per una gita con la sua romantica classe di bambini sgarruppati.
Dopo un’esilarante conversazione sul tema del razzismo territoriale, la comitiva si avvia lungo i viali della Reggia ma il cammino si interrompe quasi subito. Davanti agli occhi (e agli orecchi) di Paolo Villaggio e dei suoi alunni ci sono i Bottari guidati dal capopattuglia. Un colpo di fischietto, una rullata, la comitiva si ferma. Basta, però, un gesto della mano e i bambini si lanciano verso i musicisti ballando di allegria.
C’è anche questo nel lungo curriculum dei Bottari di Portico, il gruppo che, per merito proprio e con il fondamentale ausilio di Enzo Avitabile, ha traghettato nella world music i suoni arcaici del mondo contadino.
C’è stato anche questo nella vita di Paolo Villaggio, grazie al genio (mai troppo lodato) di Lina Wertmuller.
P.S. A proposito di Io speriamo che me la cavo, non si può non ricordare Marcello D’Orta. La poesia della storia alla base del film è tutta sua.