Geolier ha riportato il napoletano al Festival di Sanremo dopo un’assenza durata un decennio. Bisogna, infatti, tornare al 2014 per trovare una significativa presenza del dialetto partenopeo nel testo di un brano. Quell’anno Rocco Hunt conquistò il primo posto della categoria Giovani con ‘Nu juorno buono. Nonostante le tre strofe in italiano, la canzone aveva un’inequivocabile identità napoletana, nel titolo e, soprattutto, nel potente ritornello.
Nei dieci anni successivi solo labili tracce: nel 2016 pochi versi in napoletano nel brano Quando sono lontano di Clementino, pochi anche nel 2019, sia nella canzone Il coraggio di ogni giorno di Enzo Avitabile e Peppe Servillo che in Un’altra luce di Livio Cori e Nino D’Angelo. L’ex caschetto biondo, però, poteva dirsi soddisfatto di quello che aveva fatto in precedenza…
CANZONI IN NAPOLETANO A SANREMO
Ripercorrendo gli ultimi quarant’anni del Festival, il record di presenze con canzoni napoletane spetta proprio a Nino D’Angelo, con ben sei partecipazioni. La prima risale al 1986 con Vai, seguita poi da quelle del 1999 con Senza giacca e cravatta, del 2002 con Marì, del 2003 con ‘A storia ‘e nisciuno e da quella del 2010 con Jammo jà, cantata insieme a Maria Nazionale. Cinque presenze con testi tutti in napoletano a cui va aggiunto il citato duetto del 2019.
A proposito di Sanremo e dialetto partenopeo, una menzione speciale la merita pure Peppino di Capri, che nel 1985 interpretò E mò e mò (nota anche come Nina ninetta).
La canzone ebbe un discreto riscontro di pubblico e segnò il ritorno del napoletano alla ribalta del Festival dopo una latitanza durata sei anni. Nel 1979, infatti, Mario Abbate aveva presentato Napule cagnarrà e i Pandemonium la dissacrante Tu fai schifo sempre; nel 1978, invece, il napoletano aveva fatto il suo debutto sanremese, comparento nel ritornello di Il buio e tu di Ciro Sebastianelli e nell’intero testo di N’addore ‘e castagne di Roberto Carrino.
Tornando a Di Capri, va ricordato anche l’esibizione del 1987 con Nun chiagnere, brano appartenente al filone delle canzoni bilingue, cioè con un’alternanza di versi dialettali e italiani.
CAROSONE, MUROLO E MARISA LAURITO
Insieme a D’Angelo e di Capri, ci sono altri due grandi interpreti che non possono essere dimenticati: Renato Carosone e Roberto Murolo. Entrambi accettarono la sfida di portare la canzone napoletana a Sanremo, entrambi lo fecero a fine carriera. Il primo propose Na canzuncella doce doce nel 1989, il secondo L’Italia è bbella nel 1992.
Quella del 1989 fu un’edizione con una forte caratterizzazione partenopea: il napoletano riecheggiò anche nell’esibizione di Marisa Laurito, che presentò Il babà è una cosa seria, e, in misura minore, nella performance di Tullio De Piscopo, che cantò E allora, e allora. Non solo, nella categoria delle nuove proposte si fece notare anche Antonio Murro con la canzone ‘A paura.
E dire che in quel Festival la Laurito e Carosone avrebbero dovuto fare addirittura coppia, ma l’ipotesi saltò per un litigio tra il pianista e Riccardo Pazzaglia.
Anche Mario Merola è presente nell’elenco degli interpreti che hanno cantato in napoletano sul palco di Sanremo. Capitò nell’edizione del 1994 quando fu chiamato a rappresentare Napoli in Squadra Italia, un supergruppo di vecchie glorie: alla sua voce fu affidata l’unica parte dialettale di Una vecchia canzone italiana.
DALLA N.C.C.P. AGLI AVION TRAVEL
Saltando di edizione in edizione, si rintracciano altri brani festivalieri con un DNA partenopeo. Tra questi c’è Musica e speranza lanciata da Gigi Finizio insieme al gruppo I ragazzi di Scampia nel 2006. Nonostante il titolo in italiano, i versi di Mogol e Gigi D’Alessio avevano uno sviluppo che privilegia ampiamente il ricorso al napoletano. Stesso discorso per È colpa mia, la canzone che nel 2013 portò nuovamente Maria Nazionale a Sanremo, stavolta come solista.
Lo schema strofa in italiano/ritornello in dialetto caratterizza, invece, il testo di Sotto il velo del cielo, brano che la Nuova Compagnia di Canto Popolare presentò nell’edizione del 1998. Sei anni prima lo storico gruppo aveva optato per una canzone scritta interamente in napoletano: una scelta azzeccata visto che Pe’ dispietto ricevette il premio della critica. Del Festival del 1992, va ricordata anche la presenza di Lina Sastri con Femmene ‘e mare, altro brano completamente partenopeo.
Ancora strofe a lingua alternata per Alberi, brano affidato alle voci di Ornella Vanoni e Enzo Gragnaniello nel Sanremo 1999.
Sebbene molto esili, elementi di napoletanità sono presenti anche in Sentimento, la canzone con la quale gli Avion Travel vinsero il Festival nel 2000. Diceva Ulisse chi m’o ffa fa e Maronna mia questo cos’è sono gli unici due versi caratterizzati in chiave dialettale.
Insomma, a conti fatti, tra Sanremo e il napoletano non c’è mai stato un grande feeling, almeno fino ad oggi. Riuscirà I’ p’ me, tu p’ te di Geolier ad inaugurare un’epoca di maggiore apertura verso il dialetto partenopeo?