Catarì apparve la prima volta il 18 marzo 1892 sul Corriere di Napoli come ‘poesietta meteorologica’ intitolata Marzo. Il passaggio da poesia a ‘canzone appassiunata’ e il cambio di nome avvennero nel giro di sei mesi: l’8 settembre 1892 fu pubblicata sulla rivista L’occhialetto con musica di Mario Costa.
Per effetto del clamoroso successo ottenuto dalla presentazione dal vivo della canzone, eseguita a piazza Plebiscito dal tenore Raffaele De Rosa con accompagnamento di orchestra e cori, tutte le copie del giornale furono vendute e si rese necessaria una seconda tiratura.

Perfetto esempio di componimento di quattro quartine in versi settenari a rima alternata, il testo di Catarì è considerato una delle massime espressioni della capacità di Salvatore di Giacomo di trasformare il dialetto napoletano in lingua. Il critico Ugo Ojetti scrisse che “in questa poesia di tanta purezza alita davvero lo spirito e l’incanto misterioso della grande lirica ellenica”.

A Mario Costa, invece, è riconosciuto il merito di aver saputo tradurre in musica la mutevolezza del cielo primaverile evocata nel testo. Il susseguirsi di squarci di celeste e rovesci d’acqua tratteggiato nei versi è reso con una melodia, ampia e ariosa, che caratterizza un arrangiamento in cui convivono sostanza passionale e leggerezza.
Fra le centinaia di interpreti si ricordano: Enrico Caruso, Beniamino Gigli, Tito Schipa, Roberto Murolo e Sergio Bruni. Da segnalare la versione che ne diedero gli Showmen di Mario Musella e James Senese.

TESTO DI CATARÌ

Marzo: nu poco chiove
e n’ato ppoco stracqua.
Torna a chiòvere, schiove;
ride ‘o sole cu ll’acqua.

Mo nu cielo celeste,
mo n’aria cupa e nera,
mo d’ ‘o vierno, ‘e tempeste,
mo n’aria ‘e primmavera.

N’auciello freddigliuso
aspetta ch’esce ‘o sole,
ncopp’ ‘o tturreno ‘nfuso,
suspireno ‘e vviole.

Catarì!… Che buò cchiù?
Ntienneme, core mio!
Marzo, tu ‘o ssaje, si’ tu,
e st’auciello songo io.

Teso tratto dalla raccolta Ariette e Sunette di Salvatore di Giacomo, ed. Pierro 1897

 

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