Scetate è considerata la migliore canzone di Ferdinando Russo. Per una volta distante dalle tematiche “veriste e popolari” a lui care, è abile nel trattare con raffinatezza l’abusato tema dell’innamorato sospirante sotto il balcone della sua amata. Esemplificativi, in questo senso, i versi che più degli altri fanno ricordare Scetate: “è nu ricamo ‘sta mandulinata…/ scetate bella mia, nun cchiù durmí!”. Al successo plurisecolare del brano ha contribuito non poco  la melodia composta da Mario Costa. Si è scritto di “purezza espressiva di stile belliniano” e il riferimento non risulta esagerato, soprattutto se si considera che Scetate contribuisce ad affermare il peso deteminante della musica nella definizione della fisionomia della canzone napoletana.

SCETATE E CARDUCCI

A Scetate è legata uno dei tanti aneddoti che condiscono la storia delle canzoni napoletane. Si racconta che Ferdinando Russo, galante e sciupafemmene, ne dedicò i versi ad Annie Vivanti, avvenente poetessa arrivata a Napoli con Giosuè Carducci ai primi di luglio del 1891. Poco male, si direbbe, se non fosse che la dedica fu rivelata platealmente nel corso di una cena nel ristorante vomerese Pallino. Fu lo stesso Russo a declamare il testo di Scetate, rivolgendosi direttamente alla Vivanti, che non fece mistero del proprio apprezzamento.  In pratica, fu un corteggiamento un po’ sfacciato, che indispettì non poco il poeta delle Odi Barbare. La sua reazione fu immediata: lasciò la cena e ripartì da Napoli, da solo e indispettito.

A proposito di Giosuè Carducci e Annie Vivanti, c’è una lettera del 18 aprile 1890 che può considerarsi l’inizio del loro rapporto. È una missiva che il poeta manda alla giovane, scrivendo: “Signorina, nel mio codice poetico c’è questo articolo: – Ai preti e alle donne è vietato fare versi. – Per i preti no, ma per lei l’ho abrogato. La sua poesia, Signorina, è quello che è, ma è poesia”. In sostanza, una recensione che lascia trasparire più benevolenza che ammirazione. Ammirazione che, invece, Carducci nutriva nei confronti di Ferdinando Russo tant’è che aveva chiesto di incontrarlo, una volta giunto a Napoli.

Sulle origini di Scetate, va riportata anche un’altra tesi, secondo la quale la canzone nacque in un contesto meno turbolento. Alcune fonti, infatti, fanno risalire la composizione del brano ad un incontro tra Ferdinando Russo e Mario Costa avvenuto allo Strasburgo, altro locale frequentato da artisti. In quella occasione il poeta avrebbe confidato al musicista tarantino la sua attrazione per la Vivanti e la canzone sarebbe stata composta in meno di un’ora.

Nella storia di Scetate figura anche Guglielmo II di Germania: un anno prima, nel 1890,  un ensemble di cento musicisti e duecento coristi la eseguì in onore dell’imperatore tedesco, ospite della città

Fra i tanti artisti che l’hanno cantata, Beniamino Gigli, Gennaro Pasquariello, Roberto Murolo, Sergio Bruni, Peppino di Capri, Massimo Ranieri.  Mirna Doris è stata l’interprete della prima versione femminile. Intensa l’esecuzione di Peppe Servillo accompagnato dai Solis String Quartet.

Ferdinando Russo
Ferdinando Russo

TESTO

Si duorme o si nun duorme bella mia,
siente pe’ nu mumento chesta voce.
Chi te vò’ bene assaje sta ‘mmiez’â via
pe’ te cantà na canzuncella doce.

Ma staje durmenno, nun te si’ scetata,
sti ffenestelle nun se vonno aprì,
è nu ricamo ‘sta mandulinata,
scétate bella mia, nun cchiù durmì.

‘Ncielo se só’ arrucchiate ciento stelle,
tutte pe’ stà a sentì chesta canzone.
Aggio ‘ntiso ‘e parlà li ttre cchiù belle,
dicevano: “Nce tène passione”.

E’ passione ca nun passa maje,
passa lu munno, essa nun passarrà.
Tu, certo, a chesto nun ce penzarraje,
ma tu nasciste pe’ mm’affatturà.

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