Fenesta ca lucive, insieme a Fenesta vascia e altri brani di inizio Ottocento, rappresenta il cuore della tradizione musicale partenopea. È da queste composizioni – elaborazioni di canti tradizionali – che la canzone classica napoletana ha derivato i suoi tratti identitari.
LA STORIA DI FENESTA CA LUCIVE
Certe analogie con l’aria finale dell’opera La sonnambula l’hanno fatta attribuire, per molto tempo, a Vincenzo Bellini. Molto più verosimile, invece, la tesi che la vuole come la versione partenopea di una canzunedda siciliana. Quella ispirata alle tragiche vicende della baronessa di Carini, risalenti alla metà del ‘500. La trascrizione in napoletano dei versi sarebbe opera di Giulio Genoino e risalirebbe al 1842. A questa traduzione, poi, Mario Paolella avrebbe aggiunto due strofe, pubblicandola nel 1854 su un foglio volante. Si tratta di un testo che ha subito continue interpolazioni, basate su un continuo rapporto tra immagini macabre e allusioni erotiche.
Sono due le tradizioni interpretative di Fenesta ca lucive: una contadina ed una urbana. La prima viene spesso eseguita in forma di tammurriata o tarantella. Al contrario, la seconda ha invece un andamento più classicheggiante, che è all’origine delle false attribuzioni della canzone a musicisti colti.
PIER PAOLO PASOLINI E FENESTA CA LUCIVE
Nella storia di Fenesta ca lucive spicca il nome di Pier Paolo Pasolini. Lo scrittore e regista friulano nutrì una vera e propria passione per la canzone, tanto da inserirla in tre film. Nel 1961 la usò in Accattone, nella sequenza del pestaggio notturno di Maddalena da parte dei napoletani. Rileggendo la sceneggiatura. si capisce chiaramente quanto Pasolini amasse il brano. Soprattutto, si capisce che Fenesta ca lucive doveva definire il significato della scena.
“Solo il secondo napoletano canticchia fra sé, stando disteso, appoggiato a un gomito, con le gambe incrociate (…). La sua voce è rauca, mormorante, come gli uscisse dal profondo delle viscere: tuttavia canta una canzone napoletana molto appassionata, accennandola, ma nel tempo stesso interpretandola con tutto il sentimento. (…) È un canto che è lungo, viscerale lamento, pieno di antica disperazione”. Queste le indicazioni di sceneggiatura, che rivelano una profonda conoscenza del brano e della sua storia.
Dieci anni dopo, nel 1971, Pasolini usò nuovamente Fenesta ca lucive, inserendola nel Decameron. come commento sonoro dell’episodio di Ciappelletto. La canzone si colloca con naturalezza nella narrazione, giustificata da una battuta dello stesso Ciappelletto che ne precede l’intonazione “Napoli, Napoli mia! Soltanto chi ti perde te vo’ bene!”. Tempo dodici mesi e il brano compare anche nei Racconti di Canterbury: ricorre all’inizio del film, cantato da un venditore di indulgenze in un napoletano con accenti inglesi.
GLI INTERPRETI DELLA CANZONE
Fenesta ca lucive è entrata nel repertorio di molti cantanti lirici. Di grande intensità emotiva la versione interpretata da Giuni Russo con la partecipazione di Paolo Fresu.
IL TESTO DI FENESTA CA LUCIVE
Fenesta ca lucive e mo nun luce,
sign’è ca nénna mia stace malata.
S’affaccia la surella e mme lu dice:
“Nennélla toja è morta e s’è atterrata”.
Chiagneva sempe ca durmeva sola,
mo dorme co’ li muorte accompagnata.
Va’ dint’ ‘a cchiesa, e scuopre lu tavuto,
vide nennélla toja comm’è tornata.
Da chella vocca ca n’ascéano sciure,
mo n’esceno li vierme. Oh, che piatate.
Zi’ parrocchiano mio, ábbece cura,
na lampa sempe tienece allummata.
Addio fenesta, rèstate ‘nzerrata
ca nénna mia mo nun se pò affacciare.
Io cchiù nun passarraggio pe’ ‘sta strata.
Vaco a lo camposanto a passíare.
‘Nzino a lo juorno ca la morte ‘ngrata,
mme face nénna mia ire a trovare.